Io che…

Una notte d’estate, avrò avuto 17 anni, torno a casa dalle solite vasche (1) nel lungomare della mia città. Metto la mia bicicletta blu metallizzato in garage, apro il portone, salgo le scale, corridoio, solito saluto ai miei che sono già a letto da un po’… giusto per vedere se stanno tutti e due bene. E’ un rituale lo so ma senza non riesco a stare tranquillo, eppoi so di non disturbarli perché se son svegli mi rispondono, altrimenti guardo se “respirano” e va tutto bene.
Mi affaccio dall’uscio: “ciao babbo, ciao mamma !

Loro sollevano il busto e mi guardano.
Ma non sono loro.
Due sconosciuti che vedendomi si alzano e si dirigono verso di me che terrorizzato dalla scena e soprattutto per la sorpresa inizio a correre verso la porta che dal primo piano mi fa accedere al piano terra.
Tante scale ma decido di non farle e faccio direttamente un salto dalla sommità.
Atterro e batto le ginocchia per fortuna però non mi fanno tanto male, ma forse è solo l’adrenalina che non mi consente di sentir dolore.
Sento che mi stanno inseguendo e mi dirigo verso il garage, inforco la bicicletta e scappo via, senza girarmi indietro.
Dove scappo non lo so perché poi il sogno finisce e già so che non lo saprò nemmeno la prossima volta che lo rifarò.

Per anni mi sono chiesto se questo potesse avere un motivo, un messaggio che volevo mandarmi ma che non riuscivo a cogliere. O magari che ne so, solo la rielaborazione di una scena di un film che non ricordo.

A volte però la vita riesce ad essere quasi “letterale”. Basta solo modificare poche cose, spostare un elemento qui, metterne a fuoco un altro di qua…
Almeno per alcune cose. L’ho capito un po’ di tempo fa, aiutato forse anche dal brutto momento passato da uno dei miei, il momento in cui ho dovuto fare i conti con la dura realtà che finché sei solo un ragazzo ti fa pensare che i tuoi genitori sono e saranno immortali.
Anche se hai già perso i tuoi nonni.
Ha investito tutta la mia vita, le mie cerchie e forse è stato solo l’inizio di un cambiamento o magari di una rivelazione, il prendere il capo della matassa ed iniziare a sciogliere nodo per nodo il groviglio accumulato della mia esistenza.

Ora che sto scrivendo mi sento già meglio, ma penso che non vorrei.
Non vorrei perché solo in momenti come questi riesco a tirare fuori le parole dalla bocca di quel manichino abituato a far pensare che va tutto bene, il bonaccione che nulla o quasi riesce a toccare, che uno sgarbo gli passa in due minuti perché lui, lui tanto è tranquillo. Quel manichino dalla memoria labile, corta. Quel manichino che non ascolta, non sente le parole che potrebbero ferirlo o forse è oramai abituato a bypassarle proprio come quando si dice: gli entra da una parte e gli esce dall’altra.
Quel manichino che a volte è lui stesso a trattare male, ad essere insensibile, a ferire fino a sentire la ferita dentro di sé e nonostante tutto spinge il coltello ancora più in fondo.
Quello che porta la mia maschera da quanto posso ricordare.

Ma lui è stato anche pazzo. Forse lo è ancora, forse no ma in queste cose si sa, non siamo autorizzati a stabilirlo.
Sento che la mente inizia a cancellarsi, una nebbia pervade il pensiero, il dolore si attenua mentre non capisci più il motivo per il quale sei qui che stai scrivendo. Scrivendo cosa ?
Ma come è possibile ? Fino a poco fa avresti pianto se il solito pudore non te l’avesse impedito. E poi perché farlo ? Non ho nessuna voglia di rispondere ad alcuna domanda.
La frase tipica: “tanto non capiresti”.
Che poi non è così nemmeno tanto lontana dalla realtà. Di cosa dovrei lamentarmi ?
Io che ho tutto, anche ciò che non so di avere. Persino.
Io che se non posso è perché non voglio.
Io svogliato, io incapace, io dodicenne, io “no, lasciamo perdere che è meglio”.
Io che non sono mai abbastanza, io che mai (come dice una vecchia canzone).
Io obsoleto, io inservibile, io intercambiabile, io in fondo nulla di speciale, io che una dolce parola è troppo per me… come se un fiume non avesse mai bisogno di pioggia.
Io deludente, la più grande delusione di una qualche vita.
Io senza dignità e vergogna. Io ingrato.
Io allegro e spensierato, io con la battuta pronta, io e la pacca sulle spalle.
Io ed il peloso per il quale sono il mondo, magari…
Io ed il mio amore “sgangherato”, che solo al pensiero non so trattenere le lacrime perché penso che non troverò mai le parole, né un gesto per esprimere ciò che sento.
Io che glielo dico e piango di nuovo.
Io e la figlia che non ho… e qui mi fermo.
Io ed il mio cuore di donna (sic).
Io e la mia ricerca d’acqua in un deserto senza fine, che continuo ad illudermi che ci sia ristoro anche per me, come per tutti nella vita prima o poi.
Io che stupidamente vorrei andarmene e penso che l’altrui dolore passerà presto. Passa sempre tutto.
Io che non ho coraggio ed aspetto che qualcosa di inevitabile, inesorabile mi porti via per sempre. Passa sempre tutto.
Io che non mi rendo conto di ciò che sto dicendo… io stronzo. Io, stronzo ?

Ancora per poco, magari…

(1) passeggiare avanti e indietro lungo un percorso particolarmente frequentato. conosciuto altrove anche come “struscio”.

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