Working Poor

Da qualche anno in qua, chi ha avuto modo di leggere alcune riviste di informazione economica e/o politica anche online, probabilmente si sarà imbattuto in alcuni termini cosiddetti tecnici che in economia vanno molto (specie dall’avvento di Mario Monti al governo) tra i quali questo termine.

Se chiedessi ad un pensionato, un semplice operaio o magari anche ad un ragazzetto il significato di questa parola, credo che al massimo il ragazzetto fresco di scuola al massimo potrebbe tentare dicendo che si tratta di qualcuno che lavora con i poveri. Per alcuni sarebbe approssimazione, per alcuni impossibilità culturale, per altri infine mancanza di interesse verso queste sottigliezze. Colpa loro ? Forse.

Però, perché un media che intenda rivolgersi ad un vasto pubblico, non deve avere l’umiltà (se proprio non vogliamo addirittura tirare in ballo il buon senso) di scrivere un termine più comprensibile, più immediato ? Già… perché ?

Il dizionario Treccani alla voce, recita così (abbreviato da me):

working poor -u̯ë’ëkiṅ pùë- locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Chi appartiene alla categoria dei lavoratori poveri, cioè coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo, dell’incapacità di risparmio, eccetera.

La definizione finisce poi, come succede di solito in quei testi che non vogliono vedere in faccia il vero problema, nel distribuire le colpe fifty-fifty secondo il concetto: “tutti colpevoli, nessun colpevole”.
Se però leggiamo oltre, la Treccani (nel caso in questione) ci spiega che dal lato di chi deve legiferare esiste una difficoltà definitoria legata al concetto stesso di povertà.
Difatti come si fa a dire chi è povero e chi no ? Ci vuole un indice, un limite di reddito.
Per esempio mesi fa un politico siciliano ebbe modo di dire che con 4.000 euro al mese è impossibile vivere bene. Se parliamo con un imprenditore, ad esempio del nord-est, è impossibile vivere con il proprio lavoro dato l’indice di tassazione talmente alto da rendere praticamente nullo il frutto della propria attività. Un operaio (1) direbbe che col proprio salario non riesce a pagarsi le bollette, la scuola ai figli (2) qualcuno ha il mutuo della casa da pagare (3) ed altri non riescono a pagare l’affitto.
I piani alti non partecipano mai direttamente a questo genere di dibattiti. Già… perché ?

Poi c’è l’altro motivo di impedimento: la posizione ideologica e interpretativa.

Perché se c’è qualcosa che non ti sta proprio benissimo, magari ti viene da tossire su un emendamentino buttato lì a peggiorare (per te) tutta la questione, allora sei ideologicizzato. E quindi da biasimare. Automaticamente scaraventato agli anni ’20 del secolo passato (4).

La mamma che sgrida il proprio figlio che fa le bizze sul piatto di lenticchie: “basta ! mi hai stancato tu e la tue ideologie”

Interpretativa perché dato che le norme almeno qui in Italia, han sempre bisogno di essere interpretate: “chissà che avrà voluto dire il legislatore, in realtà ?” – e da uno che ha pianto in TV la sfortuna del lavoratore a basso reddito o peggio del disoccupato (gggiovane però), ti aspetteresti una leggina che ritiri su un po’ le tue finanze scarne quando non azzerate.
Invece no, devi interpretare. Beh sì, perché potrebbe anche essere che invece si voleva rendere ancor più precario il lavoro o magari che ti sia concesso di lavorare per una paga da fame.

Da qui: il Working Poor.
Ma allora ? Ma come è possibile ? Una legge per eliminare il working poor che potrebbe anche voler dire: creare più working poor ?
Benvenuti in questo mondo, dove tutto è possibile !

Esempio di utilizzo:

Questa situazione provoca un netto arretramento dello stile di vita, non solo tra i disoccupati, ma anche tra i lavoratori a basso reddito, aumentando così il fenomeno dei “working poor“. La riprova si trova nel crollo del potere d’acquisto che, dal 2009 al 2013, è tornato ai livelli di dieci anni fa, con un crollo del 6,7%. (Istat: “Record disoccupazione giovanile”. Cnel: “Impossibile tornare livelli pre-crisi” – Il Fatto Quotidiano Online del 30/09/2014)

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Note:
(1) anche se sappiamo tutti che non esistono più, le fabbriche sono piene di robot, nevvero ?
(2) oramai un figlio, anche se la Chiesa ci sgrida perché la natalità è la più bassa in Europa.
(3) quelli che l’hanno avuto prima dello scoppio della bolla speculativa. ora è quasi un miraggio.
(4) però fino al 28 ottobre 1922 quando gli industriali “furono costretti ad accettare” il soccorso di un tal Benito Mussolini.

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